LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto da Cannarile Cosimo, nato a Martina Franca il 10 luglio 1931 avverso la sentenza del pretore di Taranto in data 8 luglio 1993; Sentita la relazione fatta dal consigliere Paolino Dell'Anno; Sentite le richieste del p.g. che ha concluso per il rigetto del ricorso; R I L E V A Con la sentenza sopra indicata si e' affermata la penale responsabilita' di Cannarile Cosimo per aver contravvenuto alla disposizione dettata dal secondo comma dell'art. 23 della legge n. 482 del 2 aprile 1968, perche', esercitando attivita' di impresa e avendo alle sue dipendenze un numero di lavoratori superiore a quello di 35 e trovandosi quindi nelle condizioni indicate dall'art. 11 della stessa legge non aveva fatto richiesta di assunzione al competente ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione di venti unita' appartenenti alle categorie di riservatari indicate nell'art. 9 della legge. Il pretore lo ha condannato alla pena della ammenda in L. 19.980.000. L'imputato ha proposto ricorso. Con i motivi a sostegno della impugnazione denuncia la erroneita' della decisione sotto il profilo della inoperativita' dell'obbligo di richiesta perche', pur essendo le persone da lui occupate in numero superiore a quello previsto dalla norma, non aveva effettuato ulteriori assunzioni ne' mai manifestato volonta' in tale senso, conseguendone che nessun onere di richiesta di personale gli si sarebbe potuto imporre. Contesta inoltre la legittimita' costituzionale della disposizione incriminatrice. Ritiene la Corte rilevante la questione. Va infatti osservato, quanto al primo motivo di censura, che la letterale interpretazione della inequivoca formulazione della vigente disposizione dettata dall'art. 11 della legge, la cui violazione e' sanzionata come contravvenzione dall'art. 23, conduce alla insorgenza dell'obbligo per l'imprenditore privato di richiesta di invio presso l'azienda di ulteriori unita' da occupare nel momento stesso nel quale i dipendenti superano il quorum fissato dalla norma e per il solo fatto oggettivo del verificarsi di una tale evenienza, prescindendosi dalla sussistenza di esigenze aziendali che impongano o consiglino il ricorso all'ampliamento della mano d'opera, diversamente invece espressamente prevedendosi per i soli enti pubblici dall'art. 12 che subordina le ulteriori assunzioni "al verificarsi delle vacanze" (si confronti per la giurisprudenza Cass. sez. lav., 3 ottobre 1981, n. 5207). Ne deriva che la omissione della richiesta di assunzione di invalidi o altri appartenenti alle categorie di riservatari indicate nell'art. 9 della legge vale di per se' a configurare l'elemento materiale del reato di natura permanente la cui consumazione si esaurisce con l'assunzione del personale imposto per legge. Da questa considerazione consegue la infondatezza della censura rivolta alla motivazione della sentenza impugnata avendo il giudice del merito correttamente concluso per la materiale sussistenza dell'illecito e per la responsabilita' del ricorrente non venendo proposti problemi attinenti l'elemento psicologico di esso, non essendo in discussione la conoscenza del precetto in capo all'agente ne' la presenza di eventuali cause di giustificazione. Diviene allora rilevante, ai fini della decisione sulla impugnazione, la dedotta questione di legittimita' costituzionale delle disposizioni dettate dalla legge n. 482/1/968 per disciplinare le assunzioni obbligatorie in questione, e cioe' gli artt. 11, con il quale si rivolge all'imprenditore privato il comando di procedere alla assunzione di personale lavorativo in soprannumero (come efficacemente rilevato da una qualificata dottrina), 9, con riferimento a questa previsione, e 23, secondo comma, che criminalizza la omissione della condotta dovuta. Orbene, la questione non si presenta coma manifestamente infondata. E' noto al collegio che la Corte costituzionale, richiamandosi anche a precedenti decisioni, ha escluso che l'art. 11 sopra citato contrastasse con i principi posti dagli artt. 38 e 41 della Costituzione, rilevando che "da un lato alle imprese non viene addossato il mantenimento assistenziale degli invalidi, ma si ha solo la instaurazione di un normale rapporto di lavoro .. ed all'altro non viene imposta una limitazione alla libera iniziativa non ammessa dall'art. 41 della Costituzione poiche' in vincolo che viene imposto alle aziende ha una giustificazione di carattere sociale e l'iniziativa privata non viene compressa, non alterandosi la valutazione dei datori di lavoro in ordine al dimensionamento delle imprese" (ordinanza n. 173/1985). Ma non sembra che la stessa Corte si sia posta il problema della automaticita' dell'obbligo di assunzione, che, secondo la interpretazione letterale della disposizione - interpretazione unica possibile stante la chiarezza della sua formulazione - consente al solo raggiungimento nella impresa del numero minimo di lavoratori oltre il quale scatta l'obbligo di assunzione di ulteriori unita' senza possibilita' che si tenga conto delle decisioni dell'imprenditore circa l'entita' della sua azienda e inoltre delle disponibilita' economiche dello stesso a fare fronte al carico che dalle nuove obbligatorie assunzioni deriva, ponendosi inoltre irragionevolmente sullo stesso piano soggetti tra loro diversificati anche per le diverse possibilita' di assorbimento di ulteriori unita' e altrettanto irragionevolmente disponendosi per l'imprenditoria pubblica prevedendosi solo per questa che all'adempimento dell'onere faccia fronte nella ipotesi di "vacanze" nell'organico, il che non e' per il privato. Del resto costantemente si e' affermato dalla stessa Corte che la liberta' di organizzazione e di gestione dell'impresa secondo criteri di economicita' e' elemento indefettibile della liberta' di iniziativa economica che riceve la sua tutela proprio dall'art. 41 della Costituzione (per tutte si confronti la sentenza n. 420 del 1991). Ne' parrebbe valido il richiamo al contenuto del terzo comma dello stesso art. 41. E' infatti da rilevarsi che proviene sempre dalla Corte costituzionale l'insegnamento che a questa disposizione va attribuito il significato di norma idonea a delineare, da un punto di vista della generale utilita', programmi diretti a stimolare, indirizzare e coordinare l'attivita' economica all'esclusivo fine di dare effettivo incremento alla produzione, conseguendone che deve escludersi legittimita' a ogni norma che, anziche' essere informata a questi criteri, sia congegnata in modo da interferire nella attivita' economica degli operatori, turbando e comprimendo l'iniziativa privata garantita dal primo comma dello stesso articolo, osservandosi che, in forza di questi principi, non poteva riconoscersi legittimita' a "un sistema diretto a imporre obbligatoria assunzione di mano d'opera a carico di singoli conduttori di aziende agricole", contrastando lo stesso con gli artt. 38 e 41 della Costituzione (sentenza n. 78/1958 con la quale si dichiaro' la incostituzionalita' delle norme, per vari versi analoghe a quelle in questione, dettate dal decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato n. 927/1947). Pare in conclusione che non si possa consentire di ipotizzare un sistema normativo che imponga al cittadino, privato imprenditore, una condotta che sia in contrasto con la sua liberta' di iniziativa costituzionalmente garantita e che lo assoggetti addirittura in caso di inottemperanza, pur se giustificabile, perche' dovuta a una sua lecita scelta o anche alla antieconomicita' oggettivamente percepibile della obbedienza al comando, a una sanzione penale.